Rafioli di San'Alessandro

La storia dei Rafioli di Sant’Alessandro ha origine antiche. Nel febbraio dell’anno 1187 si tenne nel palazzo vescovile di Bergamo il processo per dirimere una annosa e aspra controversia, che vedeva contrapposte le canoniche delle due principali chiese cittadine. Da una parte la chiesa di San Vincenzo, un tempo presente nel centro della Città sotto l’attuale cattedrale; dall’altra Sant’Alessandro, posta a occidente fuori dalle mura, chiesa in cui si venerava il corpo del santo martire patrono, la nota basilica alessandrina, demolita nel 1561 per far posto alla costruzione delle mura venete. Motivo della lite: quale delle due chiese dovesse fregiarsi del titolo di “chiesa madre” o maggiore della diocesi di Bergamo, titolo a cui erano connessi diritti e privilegi, ecclesiastici e anche economici. Per l’oggetto del contendere, il processo verrà chiamato dagli storici De matricitate.

Papa Urbano III, volendo una volta per tutte porre fine a una controversia che da troppo tempo, e con troppo scandalo, lacerava il clero bergamasco, inviò a Bergamo il cardinale Adelardo, veronese, per condurre una meticolosa istruttoria, con l’esame della documentazione prodotta dalle parti e con la raccolta di tutte le possibili e più accreditate testimonianze. Negli atti del processo, oggi conservati nell’Archivio Storico Diocesano, abbiamo l’interrogatorio del converso Avostano della chiesa di Sant’Alessandro. Tra le molte risposte date al cardinale, parlò anche di un pasto che ogni anno dopo Pasqua il vescovo era tenuto ad offrire ai canonici di Sant’Alessandro nel giorno dell’anniversario della morte del conte Attone di Lecco, che aveva lasciato per testamento nel 975 al vescovo di Bergamo la corte di Almenno, circa quindici chilometri a nord-ovest di Bergamo.

Rafioli di Sant'Alessandro

Nella pergamena si leggono le seguenti parole relative a questo gustoso pasto: «multones et vinum et panem et farinam et ova ad faciendum rafiolos et piper et salem et ligna», tradotto in «montoni e vino e pane e farina e uova per fare ravioli e pepe e sale e legna». Per gli storici dell’alimentazione e della gastronomia medievale siamo qui in presenza della prima sicura attestazione di uno dei piatti più noti della tradizionale e apprezzatissima cucina italiana, i ravioli.

Quindi, già prima del 1187, era una consuetudine ben consolidata della chiesa di Sant’Alessandro in Bergamo offrire i Rafioli, nei giorni dopo Pasqua. Gli stessi, molto probabilmente, erano composti delle carni più consumate in quell’epoca, quella ovina e quella caprina che, inoltre, costituivano, da sempre, anche il pasto nei giorni delle festività pasquali: montone, capretto, castrato, pecora, agnello.

Produzione

La zona di produzione dei Rafioli di Sant’Alessandro è rappresentata esclusivamente dall'intero territorio della Provincia di Bergamo.

Caratteristiche

Raviolo dalla forma quadrata, esteriormente risulta di un colore giallo chiaro, leggermente bombato al centro per la presenza del ripieno con i bordi preferibilmente lisci. Il ripieno invece presenta una consistenza abbastanza compatta. Il colore del ripieno va dal marrone chiaro al marrone scuro, a seconda dell’età dell’ovino o del caprino utilizzato e della tipologia di vino.

Al naso varia molto a seconda della tipologia della carne utilizzate. Il profumo della carne di agnello o capretto risulta leggermente prevalente su quello del formaggio e, in caso di carne di castrato o di montone si avverte un leggero e piacevole odore di selvatico. Inoltre, si sentono le spezie, in particolare pepe e noce moscata. Buona Intensità e persistenza.

Immediata la percezione del dolce se la carne utilizzata è agnello; poi del salato dovuto alla presenza del Grana Padano D.O.P. e del sale. Talvolta un piccolo sentore amaro in caso di carne di castrato. Non vi sono sentori acidi.

Ultima modifica: Giovedì 18 Novembre 2021