Informazione economica

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Giovedì 13 Maggio 2021

La manifattura a Bergamo tiene meglio che nel resto della Lombardia, ordini e aspettative lasciano intravedere la ripresa

Il confronto della produzione manifatturiera bergamasca con il primo trimestre del 2020 risente del lockdown iniziato proprio in quel periodo per contrastare la pandemia, che aveva causato un forte calo produttivo: la variazione tendenziale nei primi tre mesi del 2021 risulta quindi molto elevata, pari al +10,6% per le imprese industriali con almeno 10 addetti e al +13,7% per quelle artigiane con almeno 3 addetti.

Il confronto con il quarto trimestre del 2020 offre invece un quadro diverso, con l’industria che evidenzia una variazione congiunturale ancora positiva (+0,5%), ma in rallentamento rispetto alla velocità di ripresa dei trimestri scorsi, e l’artigianato che registra una flessione (-1%), interrompendo il processo di recupero dei livelli pre-Covid.

Gli indici della produzione dei due comparti si attestano rispettivamente a quota 105,6 e 100,3, con un divario rispetto alla media del 2019 pari al -1,6% per l’industria e al -2,4% per l’artigianato.

Ultima modifica: Venerdì 14 Maggio 2021
Giovedì 29 Aprile 2021

Più giovani con contratto a tempo indeterminato ma aumentano i Neet

A Bergamo nella media dell’anno 2020, fatto salvo il maggiore margine di errore statistico a livello provinciale, l’88,5% degli occupati ha un contratto a tempo indeterminato mentre il restante 11,5% ha un contratto a tempo determinato – così risulta dai microdati Istat sulle forze lavoro diffusi da Unioncamere Lombardia. Suddividendo in base alle classi di età, nella fascia tra i 15 e i 34 anni il 74,6% ha un contratto a tempo indeterminato, contro il 69,9% del 2019. Tra i 35 e i 54 anni, invece, gli occupati a tempo indeterminato salgono a 94,3%. Una crescita, seppure lieve, si riscontra anche nella fascia dai 55 anni e oltre (91,3%).

Circa il titolo di studio il 44,4% degli occupati ha il diploma di scuola media superiore. A seguire la licenza di scuola media (38,7%), la laurea e i titoli di specializzazione post laurea (14,7%) e, infine, la licenza elementare o l’assenza di titolo di studio (2,2%). Gli stessi dati, disaggregati per genere, rivelano che la componente femminile con un diploma di scuola media superiore rappresenta il 47,0% contro il 42,6% di quella maschile. Tra le femmine, inoltre, è maggiore l’incidenza di occupati con una laurea o un titolo post laurea (19,5%) contro l’11,5% dei maschi. Conseguentemente, per questi ultimi è superiore l’incidenza di occupati con licenza media (43,5%).

In base alle classi di età, nella fascia tra i 15 e i 34 anni il 56,4% degli occupati ha un diploma di istruzione secondaria e solo il 20,2% ha una laurea o un titolo post laurea. Tra i 35 e i 54 anni il 43,4% ha solo la licenza media ma il 42,2% ha il diploma di scuola media secondaria. Infine, nella fascia dai 55 anni in su prevale la licenza media (49,2%).

In relazione al regime orario, l’83,4% degli occupati lavora a tempo pieno mentre il restante 16,6% lavora a tempo parziale. Disaggregando i dati per genere, la componente maschile occupata con un contratto a tempo pieno risulta il 95,2% contro il 4,8% a tempo parziale. Per la componente femminile il divario è, invece, più ampio: il 66,4% lavora a tempo pieno e il 33,6% a tempo parziale. Quanto alle ore lavorate, il 63,9% degli occupati lavorano oltre 30 ore. Seguono gli occupati che lavorano fino a 20 ore (13,7%), 0 ore (12,3%) e, infine, da 21 a 30 ore (10,1%). Analizzando questi dati per genere, il 75,5% degli occupati maschi lavorano oltre 30 ore. Seguono quelli che lavorano 0 ore (11,0%), fino a 20 ore (9,1%) e da 21 a 30 ore (4,4%). Per la componente femminile, invece, il 47,2% lavora oltre 30 ore. A seguire fino a 20 ore (20,3%), da 21 a 30 ore (18,3%) e 0 ore (14,1%).

I Neet (acronimo di Not in education, employment or training, ovvero giovani tra i 15 e i 29 anni che non lavorano perché disoccupati o inattivi, né partecipano a corsi di istruzione o formazione professionale), registrano un tasso Neet totale del 18,3%. In Lombardia rilevano un tasso di incidenza del 17,4%, mentre in Italia il 23,3%. Sul territorio bergamasco, fatto salvo il maggiore margine di errore statistico sul livello provinciale, il fenomeno Neet osserva una decisa crescita. I Neet bergamaschi, infatti, sono aumentati del 21,0% rispetto all’anno precedente. La stessa crescita riguarda il tasso Neet totale che passa da 14,5% nel 2019 a 18,3% nel 2020, con un aumento di 3,8 punti.

Con riferimento alla composizione di genere i Neet maschi rilevano un tasso di variazione del 46,4% rispetto all’anno precedente. I Neet donne aumentano, invece, del 14,0% rispetto al 2019 invertendo così l’andamento decrescente dell’ultimo biennio. Il tasso Neet maschile si attesta a 15,9% contro il 10,9% del 2019, di poco superiore alla media della Lombardia (15,3%) e molto lontano dalla media nazionale (21,4%). Il tasso Neet femminile registra il 20,8% contro il 18,3% del 2019. Il dato provinciale risulta, anche in questo caso, superiore a quello lombardo (19,7%) ma significativamente inferiore a quello italiano (25,4%).

I tassi di variazione percentuale dei Neet su base annua mostrano una maggiore crescita della componente maschile rispetto a quella femminile, ma non si traducono in una significativa riduzione del tasso Neet femminile. Questa tendenza risulta, peraltro, coerente con la storica minore partecipazione femminile al mercato del lavoro bergamasco.

A confronto con le altre province lombarde, la situazione bergamasca per il tasso Neet maschile peggiora in modo significativo, con Bergamo al sesto posto per valore più elevato, dopo Lodi (18,3%), Milano (18,0%), Como (16,5%), Cremona (16,1%), Monza e Brianza (16,0%) e Brescia (9,3%). Anche il tasso Neet femminile colloca Bergamo in sesta posizione per tasso di incidenza più elevato dopo Cremona (29,6%), Lodi (23,7%), Mantova (22,1%), Varese (22,0%) e Brescia (21,5%).

Tra le regioni industrializzate italiane il tasso Neet totale registrato in Lombardia (17,4%) risulta tra i più elevati dopo quello del Piemonte (19,8%). Il Veneto (14,7%) e l’Emilia-Romagna (15,9%) rilevano, invece, tassi inferiori. Rispetto all’UE, la provincia di Bergamo (18,3%) e la Lombardia (17,4%), nonostante registrino valori inferiori alla media nazionale, sono comunque nettamente superiori alla media europea (13,7%).

Commenta i risultati il presidente Carlo Mazzoleni: “Tra gli occupati più giovani si osserva un segnale positivo: la crescita dei rapporti di lavoro a tempo indeterminato. Preoccupa invece l’aumento dei Neet, dopo il miglioramento riscontrato nel 2019, con percentuali peggiori per Bergamo rispetto alla Lombardia. È il segnale che i giovani trovano crescenti difficoltà all’ingresso, come dimostra anche il lieve aumento del loro tasso di disoccupazione. Questo fenomeno va gestito con misure più efficaci a contrasto della dispersione scolastica, con attività di orientamento e avvicinando i percorsi formativi alle nuove competenze richieste dal mercato del lavoro.”

Ultima modifica: Lunedì 3 Maggio 2021
Lunedì 26 Aprile 2021

Le imprese attive in provincia di Bergamo crescono dello 0,3% rispetto al primo trimestre 2020

Il primo trimestre 2021 si chiude con 94.006 sedi di imprese registrate in provincia di Bergamo. I dati di flusso mostrano un calo su base tendenziale: le nuove iscrizioni sono 1.721 (+13,7% su base annua) e le cessazioni sono 1.737 (di cui 1.724 non d’ufficio) con un calo pari a -16,7% su base annua. Il saldo complessivo tra iscrizioni e cessazioni risulta negativo con -16 unità (-573 nel corrispondente periodo del 2020).

Il tasso di natalità delle imprese registra l’1,8%, con una crescita di +0,2 punti rispetto al corrispondente trimestre del 2020. Il tasso di mortalità, invece, segna l’1,8%, segnando una diminuzione rispetto allo stesso periodo dell’anno scorso.

Le imprese attive (84.076) risultano in aumento (+266 posizioni pari al +0,3% su base annua) rispetto allo stesso trimestre del 2020.

Confrontando i 13 mesi da marzo 2020 a marzo 2021 con i dati di un anno prima, Unioncamere stima in 63.000 le mancate iscrizioni, mentre a Bergamo il Covid ha significato 991 imprese in meno. Rispetto al primo trimestre dell’anno scorso, il tasso di natalità è in crescita mentre il tasso di mortalità è in diminuzione, probabilmente per via dello stato di emergenza. Le iscrizioni sono quindi aumentate e le cessazioni hanno subito una battuta d’arresto, ma queste potrebbero quindi realizzarsi in tempi successivi.

Nella bergamasca tra i settori economici i servizi rappresentano il 38,2% delle imprese attive, seguiti da commercio (22,4%), costruzioni (20,7%) e manifattura (12,8%). In relazione allo stesso trimestre dell’anno scorso, i servizi crescono del +1,2%. In relazione allo stesso trimestre dell’anno scorso sono cresciuti i servizi (+413 pari a +1,3% su base annua) e le costruzioni (+8 pari allo 0,0% su base annua). Sono, invece, diminuite la manifattura (-156 pari a -1,4% su base annua), il commercio (-23 pari a -0,1% su base annua) e l’agricoltura (-15 pari a -0,3% su base annua)

Molto positivi i tassi di natalità delle costruzioni (1,9%), dell’agricoltura (1,7%) e dei servizi (1,5%).  In diminuzione il tasso di mortalità della manifattura (1,5%), mentre cresce nelle costruzioni (2,2%), nei servizi (1,9%), nel commercio (1,7%) e nell’agricoltura (1,6%).

Quanto alla classe di natura giuridica si conferma la tendenza in atto nell’ultimo decennio: l’impresa individuale risulta la forma giuridica maggiormente diffusa nella provincia con un’incidenza del 52,9% sulle imprese attive totali. A seguire le società di capitali (29,5%), le società di persone (15,4%) e le altre forme giuridiche (2,2%). In relazione allo stesso trimestre dell’anno scorso, le società di capitali registrano la crescita maggiore (2,3%). Sono, invece, in flessione negativa le società di persone (-2,1%), le altre forme giuridiche (-0,2%), mentre le imprese individuali sono costanti (0,0%).

Le imprese straniere attive sono 9.302 pari a 11,1% delle imprese attive totali con una variazione tendenziale su base annua pari a 2,2%. Le imprese femminili attive sono 17.022, con una variazione tendenziale pari a 1,0% su base annua, e rappresentano il 20,2% delle imprese attive totali. Le imprese giovanili attive sono 6.887, con una variazione tendenziale pari a -0,3% su base annua, e rappresentano l’8,2% delle imprese attive totali.

Nel primo trimestre 2021 sono 29.996 le imprese artigiane registrate. I dati di flusso mostrano un calo su base tendenziale: le nuove iscrizioni sono 675 (-2,5% su base annua) e le cessazioni sono 770 (avvenute non d’ufficio) con una variazione pari a -7,7% su base annua. Il saldo complessivo risulta negativo con -95 unità (-142 nel corrispondente periodo del 2020). Il tasso di natalità delle imprese registra l’3,3%, mentre il tasso di mortalità segna l’2,6%.

Le imprese artigiane attive sono, invece, 29.926 e riportano, in relazione allo stesso trimestre dell’anno scorso, una perdita di 119 posizioni con una variazione tendenziale pari a -0,4%.

L’analisi dei settori economici mostra che il numero maggiore di imprese artigiane attive si concentrano nell’ambito delle costruzioni (13.381 pari al 44,7% delle imprese attive totali), dei servizi (8.268 pari al 27,6%), della manifattura (6.610 pari a 22,1%) e del commercio (1.542 pari al 5,2%). In relazione allo stesso trimestre dell’anno precedente, crescono i servizi (+54 pari a +0,7% su base annua). Diminuiscono, invece, l’agricoltura (-25 pari a -17,7% su base annua), la manifattura (-101 pari a -1,5% su base annua), il commercio (-11 pari a –0,7% su base annua) e le costruzioni (-41 pari a -0,3% su base annua). Analizzando la forma giuridica, invece, il 74,1% delle imprese artigiane sono imprese individuali. Seguono le società di persone (15,5%), le società di capitali (10,3%) e i consorzi (0,04%).74,3% delle imprese artigiane sono imprese individuali. Seguono le società di persone (15,6%), le società di capitali (10,0%) e i consorzi (0,04%).

Le procedure concorsuali, gli scioglimenti e le liquidazioni sono 319, in diminuzione rispetto allo stesso trimestre dell’anno precedente (+417). Le 107 mila attive tra sedi e unità locali, aumentate rispetto a un anno fa (+441), impiegano 395.402 addetti (di cui 325.847 dipendenti e 69.555 indipendenti). Rispetto allo stesso periodo del 2020 si registra pertanto una diminuzione di 1.288 addetti, con una variazione tendenziale del -0,5%.

Tra i settori economici si riscontrano incrementi di addetti delle localizzazioni attive nelle costruzioni (+1.690) e nella manifattura (+474), nel commercio (+317) e nell’agricoltura (+261). Rilevanti perdite di addetti su base annua si rilevano nei servizi (-4.251).

Ultima modifica: Lunedì 3 Maggio 2021
Venerdì 19 Marzo 2021

Imprese bergamasche, in dieci anni è sceso il valore della produzione ma sono aumentati il valore aggiunto e il risultato netto

La Camera di commercio di Bergamo ha analizzato i bilanci aggregati degli anni 2010-2019 realizzando uno studio sull’andamento economico delle imprese tenute a depositare il bilancio e aventi sede in provincia di Bergamo. Le imprese analizzate includono principalmente le società di capitali, i consorzi e le cooperative, che rappresentano le imprese maggiormente strutturate sul territorio. Sono invece escluse le imprese individuali e le società di persone che non sono tenute a depositare il bilancio.

L’analisi delle dimensioni di impresa [1] mostra che nell’economia bergamasca sono prevalenti le micro imprese. Nel 2019 queste ultime rappresentano l’81% delle imprese analizzate, seguite al 14% dalle piccole imprese, al 3,8% dalle medie imprese e allo 0,8% dalle grandi imprese. Nell’arco del decennio le micro imprese, pur rappresentando sempre la quota prevalente, hanno subito un lieve calo tra il 2017 e il 2019 a vantaggio delle piccole imprese, che hanno registrato invece una crescita nello stesso periodo.

Le imprese bergamasche sono inoltre in media più piccole di quelle lombarde, ma più grandi della media nazionale. Nel 2019 in provincia di Bergamo la media delle imprese analizzate registra un valore della produzione di 2,5 milioni di euro, inferiore ai 3,1 milioni di euro della media delle imprese lombarde, ma al di sopra della media italiana (2,1 milioni di euro). Il risultato netto della media delle imprese bergamasche risulta, invece, 134 mila euro, superando sia il dato lombardo (127 mila euro) che quello italiano (79 mila euro).

Nel 2019 il valore della produzione, tra le principali grandezze economiche di bilancio, totalizza 50 miliardi di euro. Nello stesso anno il valore aggiunto – la differenza tra il valore della produzione e il costo dei fattori produttivi esterni – vale 12,6 miliardi di euro; l’EBIT (risultato prima degli oneri finanziari e fiscali) 2,7 miliardi di euro; il risultato ante imposte 3,4 miliardi di euro e il risultato netto 2,6 miliardi di euro. Negli ultimi dieci anni il valore della produzione ha perso 5 miliardi di euro in valore assoluto, mentre le altre grandezze economiche sono cresciute. In particolare, il valore aggiunto ha registrato un incremento di 743 milioni di euro e il risultato netto di 1,7 miliardi di euro.

I dati disaggregati per settore economico mostrano che il manifatturiero risulta il comparto trainante dell’economia bergamasca con un valore della produzione di 25,6 miliardi di euro. A seguire si trovano il commercio e i servizi alle imprese. Il manifatturiero è il primo settore anche in termini di risultato netto con 1,1 miliardi di euro. Seguono i servizi alle imprese, le assicurazioni e il credito e il commercio.

Le grandezze economiche, analizzate in base alla classe dimensionale, mostrano che le micro imprese detengono il valore più alto di risultato netto. A seguire le grandi imprese, le medie imprese e le piccole imprese. In relazione all’incidenza percentuale, invece, le grandi imprese racchiudono il 33,3% del valore della produzione provinciale, seguite dalle medie, dalle piccole e dalle micro imprese. Lo stesso tasso, calcolato sul risultato netto, mostra che le micro imprese valgono il 31,1%; seguono le grandi imprese, le medie imprese e le piccole imprese.

In relazione agli utili e alle perdite, i dati mostrano che il 72,3% delle imprese analizzate hanno registrato utili nell’anno 2019 totalizzando un valore della produzione di 44,5 miliardi di euro. Le imprese che hanno registrato perdite sono, invece, il 27,7% delle imprese oggetto dello studio con un valore della produzione di 5,4 miliardi di euro. I dati, disaggregati per settore economico, mostrano che il 29,7% delle imprese in utile sono attive nei servizi. Sono seguite dalle imprese attive nella manifattura, nelle costruzioni e nel commercio. Tra le imprese in perdita i servizi rappresentano il 38,3%, a seguire si trovano le costruzioni, la manifattura e il commercio.

L’esame degli indici di bilancio tra il 2010 e il 2019 mostra, in particolare, che il ROE – indicatore della remunerazione del capitale di rischio – del totale delle imprese analizzate (in utile e in perdita) è passato dal 3,3% nel 2010 a 8,9% nel 2019, registrando una crescita di 5,6 punti. L’indice di indipendenza finanziaria - la percentuale di attivo finanziato con capitale proprio – del totale delle imprese nell’arco di tempo considerato è passata dal 32,8% del 2010 a 44,1% nel 2019 con un aumento di 11,3 punti.

Quanto al patrimonio netto – somma di capitale sociale, riserve e utile o perdita dell’esercizio – nel 2019 le micro imprese detengono il 38,3%, seguite dalle grandi imprese, dalle medie imprese e dalle piccole imprese. Sempre sotto il profilo del patrimonio netto, le micro imprese hanno registrato un andamento crescente nel decennio, specialmente tra il 2015 e il 2019, mentre le grandi imprese hanno avuto un calo nel 2011, recuperato solo nel 2018, ma nell’ultimo anno hanno registrato una flessione negativa. Le piccole imprese, dopo una diminuzione tra il 2012 e il 2016, hanno avuto un andamento costante, mentre le medie imprese sono tornate a crescere dal 2015 in poi.

Commenta i risultati il presidente Carlo Mazzoleni: “Lo studio evidenzia un fenomeno in parte noto: le micro imprese sono la classe dimensionale prevalente sul nostro territorio, e in esse si concentra la quota maggiore di risultato e di patrimonio netto. Nel complesso il valore della produzione è calato nell’arco del decennio, ma è significativo che altre grandezze economiche come il reddito netto e il valore aggiunto siano aumentate, per dinamiche almeno in parte riconducibili alla terziarizzazione dell’economia e all’innovazione. Le imprese bergamasche confermano la loro capacità di generare valore e sviluppo.”


[1] Ai fini della presente analisi le imprese sono classificate in base al valore della produzione come segue: micro imprese fino a 2 milioni di euro, piccole imprese tra 2 e 10 milioni di euro, medie imprese tra 10 e 50 milioni di euro, grandi imprese sopra i 50 milioni di euro.

Ultima modifica: Venerdì 19 Marzo 2021
Lunedì 15 Marzo 2021

Forze lavoro 2020, giù i tassi di attività e occupazione (ma non la componente femminile)

Le forze lavoro, persone occupate o attivamente in cerca di lavoro in provincia di Bergamo, scendono nella media del 2020 sotto il mezzo milione (497,2 mila), in calo per il terzo anno consecutivo. Scendono infatti sia il numero degli occupati sia, soprattutto, il numero di chi è in cerca di occupazione. Il calo delle forze lavoro e l'aumento della popolazione attiva spiegano il calo del tasso di attività (67,7%) nella fascia di età 15-64 anni.

Il numero degli occupati scende a 482,2 mila unità dopo il picco raggiunto nel 2018. Anche il tasso di occupazione tra i 15 e i 64 anni di età scende al 65,6% dopo il massimo del 2019. L'area degli inattivi in età lavorativa sale ulteriormente a 231,7 mila unità.

Per effetto del calo delle persone in cerca di occupazione, il tasso di disoccupazione, cioè la loro l'incidenza sul totale delle forze lavoro, si abbassa al 3,0%, lo stesso valore registrato nel 2008. Nel 2020 è scesa al 12,7% la disoccupazione giovanile dei giovani attivi tra 15 e 24 anni ma è risalita al 7,8% nella fascia di età tra 18 a 29 anni. La disoccupazione cala sia tra i maschi (2,4%) che tra le femmine (3,8%), confermandosi su livelli nettamente inferiori ai tassi di Italia e Lombardia.

La discesa del tasso di attività complessivo è dovuta dalla diminuzione della componente maschile (78,0%), controbilanciato dall'aumento della componente femminile - particolarità, questa, della provincia bergamasca rispetto alla situazione regionale e nazionale. Questi movimenti del tasso di attività abbassano da una parte il tasso di occupazione maschile, che scende al 76,1%, e innalzano quello femminile, riportandolo al suo livello del 2018. Dato che il tasso di occupazione femminile in Lombardia si è abbassato, si riduce il divario tra il valore provinciale e quello regionale.

Riguardo l'occupazione per posizione lavorativa, cala il lavoro dipendente mentre rimane stabile il lavoro indipendente.

Commenta il presidente Mazzoleni: "L'anno 2020 è stato dominato dall'emergere della pandemia da Covid-19 e le misure di contenimento hanno impattato sull'economia e sul mercato del lavoro. I provvedimenti che hanno congelato in buona sostanza il mercato del lavoro rendono non agevole l'interpretazione dei dati. Si nota comunque che l'occupazione nella bergamasca è calata meno rispetto alla Lombardia e all'intero paese e che la componente femminile ha segnato una ripresa. L'ingrossarsi dei ranghi di chi non cerca più lavoro spiega perché sia sceso il tasso di disoccupazione."

Ultima modifica: Lunedì 15 Marzo 2021
Giovedì 11 Marzo 2021

Le esportazioni bergamasche nel quarto trimestre 2020 raggiungono il livello di un anno prima

Il valore delle esportazioni di Bergamo nel trimestre totalizza 4.030 milioni di euro (-1,3% su base annua, contro variazioni del -2,3% in Lombardia e del -1,8% in Italia). Le importazioni sono state pari a 2.215 milioni (-2,9% tendenziale, contro -2,8% in Lombardia e 4,5% in Italia). Il saldo trimestrale della bilancia commerciale di Bergamo è positivo per 1.815 milioni, appena superiore al saldo del trimestre corrispondente dell’anno scorso (1.803 milioni).

Le esportazioni bergamasche hanno continuato il percorso di risalita per toccare quasi il livello del 4° trimestre 2019. La crescita congiunturale (12,4%) è minore di quella dello scorso trimestre perché ci si approssima ai livelli di regime, ma il tasso bergamasco – come quello lombardo (13,6%) – è comunque doppio rispetto a quello registrato dal Nord-ovest (+6,5%), che è il più alto tra le ripartizioni territoriali italiane.

Commenta il presidente Mazzoleni: “Le esportazioni bergamasche nel quarto trimestre dell’anno 2020 sono ritornate al livello dell’anno precedente. Si tratta di un importante segnale di fiducia, a dimostrazione della grande capacità delle imprese di mantenere il posizionamento nelle filiere internazionali pur in un contesto difficilissimo.”

Ultima modifica: Mercoledì 17 Marzo 2021
Lunedì 8 Marzo 2021

La pandemia ha cambiato il modo di investire delle imprese

L’emergenza sanitaria e la conseguente crisi economica hanno rallentato gli investimenti delle imprese bergamasche nel 2020. E’ quanto emerge dall’ultima indagine congiunturale camerale. Tutti i settori sono caratterizzati da percentuali calanti di imprese investitrici rispetto al 2019, ma è nel manifatturiero dove la diminuzione è stata più rilevante: l’industria, pur mantenendosi il settore con il valore più elevato, sperimenta un calo dal 68,8% al 54,2%, mentre l’artigianato scende dal 30% al 20,3%.

Anche i servizi mostrano una marcata flessione (dal 40,3% al 30%), mentre nel commercio al dettaglio la discesa risulta molto più attenuata (dal 31,4% al 30,3%), probabilmente per il contributo della grande distribuzione a prevalenza alimentare, che non è stata penalizzata dalla situazione emergenziale. La situazione bergamasca non è un’eccezione. In tutti i paesi colpiti dalla pandemia significativa è stata la riduzione del prodotto interno lordo e in particolare delle sue voci più importanti, i consumi e gli investimenti.

La quota dedicata agli investimenti immateriali assume particolare peso nel commercio al dettaglio, benché sia l’unico settore dove si evidenzi un calo rispetto al 2019, mentre negli altri comparti la percentuale registra valori inferiori ma in crescita su base annua, soprattutto per via delle maggiori spese in software e consulenza, R&S, formazione.

Commenta il presidente Mazzoleni: "Gli investimenti sono stati penalizzati dall’incertezza e dall’impossibilità di qualsiasi pianificazione, fattori che hanno praticamente immobilizzato il risparmio privato e rallentato l’investimento delle imprese. È interessante notare la diversa composizione delle voci di investimento, che risponde alle logiche del lavoro agile, del commercio elettronico e della sicurezza. La scommessa che si percepisce dall’indagine è sulla progressiva normalizzazione della situazione sanitaria ed economica e quindi su una ripresa degli investimenti nel 2021."

Ultima modifica: Lunedì 8 Marzo 2021
Lunedì 8 Marzo 2021

Le imprese femminili crescono, al contrario delle imprese totali

In valori assoluti le imprese femminili  attive nella provincia di Bergamo sono passate dalle 16.892 del 2016 alle 16.931 del 2020. L’andamento nell’arco temporale considerato risulta in lieve crescita nei primi quattro anni e in leggero calo nel 2020. Le imprese attive totali, invece, osservano un fenomeno opposto nello stesso periodo, sperimentando un andamento decrescente. Di conseguenza, l’incidenza percentuale delle imprese femminili sul totale delle attive in provincia è passata dal 19,8% nel 2016 al 20,2% nel 2020.

L’analisi delle forme giuridiche segnala tra le imprese femminili la prevalenza delle imprese individuali. Nell’arco di questi cinque anni, tuttavia, le imprese femminili individuali sono diminuite ( 0,4 punti) passando dal 61,5% del totale delle attive femminili al 61,1%. Di contro le società di capitali sono cresciute (+1,7 punti) passando dal 22,4% del totale delle imprese femminili attive al 24,1%. Entrambe le tendenze rispecchiano le evoluzioni osservabili sul totale delle imprese.

Commenta il presidente Carlo Mazzoleni: “Negli ultimi cinque anni le imprese femminili bergamasche sono aumentate di 39 unità. Una crescita molto contenuta, ricordando che la nostra provincia è ancora caratterizzata da un tasso di attività femminile piuttosto basso, tuttavia il dato è positivo se confrontato con l’evoluzione di segno negativo che si riscontra sul totale delle imprese. La situazione di emergenza sanitaria, con particolare riferimento alla prolungata chiusura della didattica scolastica in presenza, acuisce le difficoltà di conciliazione lavoro famiglia, con ricadute negative sulle pari opportunità per il lavoro femminile."

Ultima modifica: Lunedì 8 Marzo 2021
Lunedì 1 Marzo 2021

Commercio alimentare e non alimentare su strade diverse nel quarto trimestre 2020

Il commercio al dettaglio - Nel quarto trimestre torna ad aggravarsi la situazione delle imprese con almeno 3 addetti attive nel commercio al dettaglio: il calo di fatturato rispetto allo stesso periodo del 2019 è pari al -5,4%, in peggioramento rispetto al -2,4% registrato nel terzo trimestre. L’intensificarsi dei contagi da Covid-19 da ottobre in poi ha comportato l’adozione di nuove misure di contenimento. A essere penalizzati sono stati ancora una volta gli esercizi non alimentari, che dopo il recupero dei mesi estivi hanno subito un nuovo calo delle vendite nel quarto trimestre, nell’ordine dei 10 punti percentuali rispetto ai livelli del 2019.

I negozi alimentari – e la grande distribuzione in particolare – non hanno invece subito contraccolpi, non solo perché sono potuti restare aperti, ma anche per via della crescita del consumo domestico di beni alimentari a scapito di quello fuori casa e la maggiore diffusione del lavoro agile.

Servizi - Nel quarto trimestre la variazione tendenziale del fatturato per le imprese bergamasche dei servizi con almeno 3 addetti è pari al -6,2%: nonostante il dato rappresenti una diminuzione meno accentuata se confrontato con i tre mesi precedenti, si tratta del divario più elevato rispetto ai livelli di attività del 2019 tra tutti i macro-settori dell’economia provinciale. In media annua il calo di fatturato raggiunge il -12,7%, superando il record negativo del 2009 (-8%). Un’estrema variabilità caratterizza anche i risultati dei vari comparti dei servizi: sebbene per tutte le attività il 2020 abbia comportato flessioni di fatturato significative, i servizi alle imprese e il commercio all’ingrosso sono riusciti a contenere le perdite, anche grazie all’utilizzo del lavoro agile, mentre i servizi alla persona e le attività di alloggio e ristorazione sono stati tra i comparti più colpiti dalle conseguenze economiche della pandemia: per i primi la diminuzione di fatturato nel 2020 ha superato il -20%, per le seconde il -30%.

Commenta il presidente Carlo Mazzoleni: “Le misure di contenimento della seconda ondata autunnale le ritroviamo tradotte nei numeri negativi del quarto trimestre, sebbene le diverse abitudini di consumo abbiano invece avvantaggiato il commercio alimentare. Il commercio non alimentare ha purtroppo pagato un nuovo scotto. Notevoli divari anche tra i servizi alle imprese e il commercio all’ingrosso da un lato, e i servizi alla persona, l’alloggio e la ristorazione dall’altro. I numeri annuali per entrambi i settori sono i peggiori della serie storica e le aspettative, alla luce della ripresa della curva dei contagi e di possibili nuove restrizioni, rimangono purtroppo negative.

Ultima modifica: Lunedì 1 Marzo 2021
Venerdì 26 Febbraio 2021

L'agroalimentare resiste alla seconda ondata di Covid-19

Le imprese bergamasche aumentano la produzione ma le esportazioni agroalimentari sono in calo del -2,4%, il lattiero-caseario migliora con le consegne del latte su del 3,7%

In Lombardia e in provincia di Bergamo il settore agroalimentare tiene nonostante gli effetti delle misure di contenimento della seconda ondata di Covid-19. L'agricoltura mostra, infatti, un andamento meno negativo rispetto agli altri settori confermando il suo carattere anti-ciclico. Questo quanto emerge dalle stime dell'ultimo studio semestrale sulla congiuntura agricola lombarda, condotto da Unioncamere Lombardia e Regione Lombardia, e dallo studio annuale di Polis Lombardia.

In Lombardia il valore della produzione ha un calo stimato tra il -3% e il -3,7%, mentre il valore aggiunto in termini reali registra una variazione del -0,1%, sostanzialmente invariato rispetto al 2019 e migliore rispetto a quello italiano (-6,1%). I dati confermano come la Lombardia e la provincia di Bergamo abbiano avuto un incremento positivo della produzione ma risentano dell'instabilità dei prezzi del settore. L'indice di fatturato cumulato regionale, anche se negativo, risulta in stabile e leggera crescita negli ultimi due trimestri.

Le esportazioni dell'agroalimentare dalla provincia di Bergamo nel terzo trimestre 2020 (ultimi dati disponibili) registrano un calo del -2,4%, un dato comunque positivo se confrontato con il crollo delle esportazioni complessive nello stesso periodo (-15,3%). Il dato disaggregato per categoria merceologica mostra che l'industria alimentare e delle bevande soffre la contrazione maggiore (-5,1%) mentre il settore primario risulta in controtendenza con una crescita del +21,1% in termini tendenziali. Interessanti le esportazioni dei prodotti di colture permanenti (+87,8%) e degli oli grassi vegetali e animali (+80,2%) che sono le categorie maggiormente performanti.

I singoli comparti registrano risultati molto differenti in quanto influenzati dalle caratteristiche interne e dal canale di distribuzione cui sono destinati i prodotti finiti.

Il settore lattiero-caseario a Bergamo registra una lieve ripresa nel terzo trimestre e una contrazione causata dalle nuove chiusure nel quarto trimestre. I dati delle vendite mostrano un andamento positivo nella GDO ma risentono ancora delle chiusure a singhiozzo del canale Ho.Re.Ca. Gli allevamenti locali, dopo una stagione favorevole a livello climatico, mostrano miglioramenti nella produzione. Le consegne del latte in provincia, infatti, crescono del +3,7% su base tendenziale, posizionandosi comunque al di sotto della media lombarda (+5,7%). Anche la produzione di Grana Padano prosegue la crescita (+1%) confermando Bergamo come quarta provincia lombarda per quantità prodotta del formaggio duro DOP.

L'andamento degli affari nel comparto delle carni bovine risulta negativo nel secondo semestre. A pesare sono la chiusura del canale Ho.Re.Ca., il calo della domanda interna e la scarsa valorizzazione delle eccellenze lombarde e bergamasche.

In leggero miglioramento la tendenza registrata nel settore delle carni suine, dove si scontano i problemi legati alla diffusione della peste suina sudafricana che ha causato una flessione negativa della domanda estera.

Il comparto cerealicolo cresce registrando un andamento migliore rispetto all'intero settore agricolo lombardo. A influire sulla dinamica positiva sono l'incremento delle rese di alcuni cereali (mais, grano duro, grano tenero e orzo) e il crollo dell'indice dei costi dei mezzi di produzione.

Il settore vitivinicolo tocca livelli negativi senza precedenti risentendo del calo di turismo estero, della caduta della domanda interna e delle restrizioni natalizie che hanno impedito alle aziende le vendite nel periodo più redditizio dell'anno.

Il numero di imprese operanti nell'agricoltura in Lombardia e nella provincia di Bergamo continua in calo costante anche nel secondo semestre. Questa dinamica peraltro non risulta tanto collegabile alla pandemia quanto al processo di ristrutturazione che sta attraversando il settore. A livello provinciale, infatti, la variazione tendenziale su base trimestrale mostra questo andamento negli ultimi cinque anni, salvo un lieve miglioramento tra il 2017 e il 2018. Negli ultimi due trimestri il tasso di variazione bergamasco tendenziale tocca il livello di -1% e -0,8% rispettivamente, mantenendosi comunque molto al di sopra della media regionale.

A livello occupazionale i dati mensili del Sistal di Regione Lombardia, basati sulle comunicazioni obbligatorie relative a rapporti di lavoro dipendente, offrono un quadro preciso della situazione nella provincia di Bergamo. In agricoltura le assunzioni calano a luglio e tornano a crescere tra agosto e novembre, secondo gli ultimi dati disponibili. Le cessazioni, invece, stanno riscontrando un aumento costante ma il fenomeno risulta slegato dalla crisi considerato che i licenziamenti risultano attualmente bloccati fino al 31 marzo 2021.

I dati Ismea sulle produzioni agricole e i risultati dell'indagine di Unioncamere Lombardia evidenziano che le misure di contenimento del Covid-19 hanno portato le imprese agro-alimentari a fronteggiare diverse difficoltà. La sospensione delle fiere ha ridotto la possibilità di contatto con i potenziali clienti e i problemi di reperimento della manodopera hanno creato ritardi nelle lavorazioni avventizie e stagionali. Molto positiva, invece, la flessibilità delle imprese che hanno sperimentato nuovi canali di distribuzione come la vendita on-line e la consegna a domicilio.

Commenta i risultati il presidente Carlo Mazzoleni: «L'agro-alimentare bergamasco ha subito gli effetti della nuova ondata di Covid-19 in questo secondo semestre 2020, tuttavia i cali di fatturato sono stati più contenuti rispetto alle previsioni iniziali. La riapertura del canale della ristorazione nel terzo trimestre ha infatti contribuito alla crescita della domanda interna e degli ordini esteri oltre che alla stabilità dei prezzi. D'altro canto le chiusure del quarto trimestre hanno nuovamente peggiorato il quadro. Resta positiva la capacità di adattamento dimostrata dalle nostre imprese e filiere. La flessibilità delle imprese e il contenimento della pandemia saranno i fattori chiave che determineranno l'andamento del settore nei prossimi mesi».

Ultima modifica: Venerdì 26 Febbraio 2021